Coordinamento, mobilità, flessibilità…? Si, grazie!

Tutti gli sport sfruttano e sviluppano maggiormente una determinata muscolatura piuttosto che un’altra. Questo fatto, se non tenuto sotto controllo e corretto, comporta diversi problemi sia nel breve periodo sia nel lungo periodo. Un obiettivo di ogni sport e di ogni sportivo dovrebbe essere il benessere e la massima funzionalità di tutto il corpo

Nella periodizzazione dei workout, e più in generale della preparazione atletica, è perciò diventato fondamentale ritagliare uno spazio adeguato non solo all’allenamento della specifica disciplina praticata, ma anche alle capacità coordinative, alla mobilità e alla flessibilità.

COORDINAMENTO E PROPRIOCEZIONE

Oltre all’allenamento del “core”, per rinforzare il quale il plank e le sue varianti, di cui si è già avuto modo di parlare in uno specifico articolo, costituiscono un elemento imprescindibile, il controllo del coordinamento e della postura e l’allenamento della propriocezione sono altrettanto imprescindibili, soprattutto per chi pratica la corsa e il triathlon, non solo per migliorare il dispendio energetico, ma soprattutto per ridurre la possibilità di infortuni.

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La propriocezione consiste nella capacità di percepire, in modo inconscio, dove si trova il proprio corpo nello spazio, sviluppando la capacità di utilizzare la muscolatura più appropriata al caso. Com’è evidente, si tratta del modo migliore per ottimizzare il controllo della postura, reagendo alle situazioni d’instabilità, allenando il fisico a reagire alle sollecitazioni che provengono da improvvisi cambi di direzione e di utilizzo di articolazioni e muscolatura. 

La mancanza di equilibrio comporta infatti un supplementare e inutile dispendio energetico per via del superlavoro causato dalla continua correzione della postura durante il gesto atletico che, in caso di gare lunghe come le mezze maratone e le maratone, fa la differenza anche a livello calorico. 

Anche per questo motivo, è raccomandato a tutti coloro che corrono lunghe distanze di prevedere anche allenamenti off road, considerati a tutti gli effetti il più semplice metodo per allenare l’equilibrio e la propriocezionein quanto la corsa su terreni sconnessi permette al sistema propriocettivo di abituarsi ad adeguare continuamente la postura ai cambiamenti del terreno.

E ciò è tanto più utile in particolare per coloro, come i triatleti che provengono dall’agonismo del nuoto, abituati a una ridotta capacità coordinativa dell’equilibrio dovuta essenzialmente al sostentamento offerto dall’acqua e all’utilizzo di una posizione prona o supina piuttosto che eretta.

Oltre alla corsa off road, il modo più semplice ed economico per allenare la propriocezione, senza dovere per forza acquistare una pedana dedicata, è l’utilizzo di una tavola, della lunghezza di 1 metro e 50 centimetri e larghezza di 50 cm, che potete crearvi da soli, da appoggiare sopra un disco gonfiabile che trovate in vendita ovunque a pochi euro. 

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Il piano di appoggio instabile ed elastico che si viene così a creare, sottoposto alla forza di carico del corpo produce spinte pneumatiche contrarie alle quali corrispondono contrazioni muscolari riflesse di contrasto e adattamento. 

La tavola andrà utilizzata posizionandola sopra al disco, dapprima al centro esatto, per poi spostarla dal 70% fino al 90% della sua lunghezza, rimanendo in equilibrio per qualche minuto sopra di essa prima frontalmente e poi girandosi, come raffigurato schematicamente di seguito.

Gli esercizi sulla tavola devono essere eseguiti senza scarpe, in modo da aumentare la sensibilità propriocettiva. Ciò consente di sollecitare in modo specifico e progressivo la muscolatura tonico-posturale, in modo fisiologico e riflesso, favorendo la stimolazione delle articolazioni degli arti inferiori e della colonna vertebrale in ogni sua posizione funzionale, rinforzando al tempo stesso tutte le catene muscolari che consentono la stabilizzazione del corpo nello spazio.

L’allenamento dell’inconscio sottocorticale così strutturato, consente di migliorare la coordinazione, l’equilibrio, la tonicità del fisico e con essi il controllo ottimale del gesto atletico, contribuendo in modo efficace a ridurre la possibilità e la frequenza di traumi.

Sia il plank, con le sue varianti, sia i lavori di propriocezione, in considerazione del loro limitato dispendio di tempo, dovrebbero essere eseguiti il più frequentemente possibile, e comunque almeno 2-3 volte a settimana.  

LO STRETCHING: QUANDO E PERCHÉ

Come nella maggior parte degli argomenti che riguardano l’allenamento e la pratica sportiva, anche per quanto riguarda lo stretching esiste un mondo virtuale nel quale si dice tutto e il contrario di tutto, a cominciare da cosa si intende per “stretching” e a cosa serve davvero, al di là dei falsi miti che gli si vogliono attribuire e sui quali molti sportivi fanno ciecamente affidamento.

Il termine “stretching” viene impropriamente tradotto con il termine “allungamento muscolare”. In realtà, più che di “allungamento”, sarebbe più appropriato parlare di “elasticità” o “flessibilità”, che meglio descrivono il risultato realmente prodotto da questo tipo di attività. Lo stretching è infatti una forma di allenamento fisico, che ha come obiettivo il miglioramento della flessibilità delle articolazioni, attraverso un aumento dell’elasticità muscolo-tendinea. Aiuta inoltre a rilassare il corpo, alleggerendo lo stress emotivo e l’affaticamento nervoso.

La sua introduzione nella pratica sportiva ha rappresentato un progresso significativo, sensibilizzando gli atleti a prendersi cura della propria mobilità articolare al fine di migliore la condizione fisica e conseguentemente la prestazione.

Peraltro, nel corso degli anni sono state attribuite erroneamente allo stretching proprietà che non gli appartengono, tra le quali:

  • favorire il recupero muscolare;
  • ridurre i dolori successivi all’attività fisica (D.O.M.S., Delayed Onset Muscle Soreness) 
  • migliorare le capacità cardiache e respiratorie;
  • aumentare la temperatura locale muscolare;
  • prevenire traumi muscolari e tendinei;
  • migliorare la successiva performance.

In realtà, come si è detto, l’unico vero obiettivo dello stretching è quello di migliorare la flessibilità, che può ridursi sia per il fisiologico invecchiamento, sia in conseguenza di alcune pratiche sportive, come ad esempio la corsa. 

Per contrastare tale decadimento, particolarmente evidente in chi pratica sport di endurance, è fortemente suggerita l’esecuzione regolare dello stretching, valutando sempre quali siano i muscoli che necessitano una maggior flessibilità e agendo solo su di essi, mediante tecniche e posizioni mirate, piuttosto che praticare uno stretching indiscriminato su più distretti muscolari.

Tralasciando inutili e fuorvianti classificazioni in merito alle diverse tipologie di stretching, diciamo che la formula più utilizzata e maggiormente efficace negli sport di endurance è lo stretching statico, decodificato da Bob Anderson negli anni ’70 prendendo spunto dallo yoga, e da allora molto utilizzato con lo scopo di mantenere il fisico in salute.

Dopo aver eseguito un riscaldamento idoneo, la posizione di allungamento deve essere raggiunta lentamente, fermandosi prima della comparsa di sensazioni dolorose. La posizione va mantenuta per 10-30 secondi, senza eseguire molleggi e controllando la respirazione, che non deve essere mai interrotta. Se la posizione impedisce la respirazione naturale, è necessario alleggerire la tensione o adottare una posizione alternativa per ottenere l’allungamento desiderato.

Quando eseguire lo stretching statico

Come ormai dimostrato ampiamente nella letteratura scientifica più recente, eseguire lo stretching durante la fase di riscaldamento di un’attività sportiva di endurance potrebbe compromettere la performance. Meglio piuttosto ricorrere a un riscaldamento di tipo dinamico.

Lo stretching, infatti, soprattutto se statico, pregiudica la forza contrattile, che può impiegare più di un’ora prima di tornare alla normalità, compromettendo inevitabilmente la prestazione. Non solo, ma diversi lavori hanno dimostrato un’incidenza di infortuni nettamente più alta in coloro che praticano regolarmente stretching prima della prestazione sportiva. Per cui, non solo eseguire lo stretching durante la fase di riscaldamento potrebbe compromettere la performance, ma potrebbe aumentare il rischio di infortuni in maniera considerevole.

Per quanto invece riguarda l’utilizzo dello stretching nella fase di recupero post workout, diciamo subito che esso non influisce minimamente, diversamente da ciò che molti ritengono, sulla riduzione del fenomeno D.O.M.S. (Delayed Onset Muscle Soreness), né ha effetti rilevanti sul recupero post-allenamento e non favorisce affatto lo smaltimento delle scorie metaboliche. 

Il suo effetto sull’aumento della flessibilità e sull’elasticità muscolo-tendinea, però, ne fa comunque elemento importante nella gestione del recupero post workout. A questo scopo, è opportuno organizzare la routine di allenamento prevedendo delle sedute specifiche interamente dedicate allo stretching oppure inserirlo all’interno di una seduta di allenamento, sempre dopo il lavoro muscolare, avendo però ben chiaro che la sua funzione non sarà comunque quella di favorire il recupero.

Per reperire gli esercizi migliori per la vostra pratica sportiva, vi consiglio di consultare la bellissima pagina Facebook della Physiotherapy Foundation of Bangladesh (@physiotherapyfoundation), nella quale è possibile trovare una serie infinita di illustrazioni pratiche per eseguire correttamente lo stretching dei più importanti distretti muscolari.