Per capire il significato del VO2 max diciamo subito che, in generale, il consumo di ossigeno (VO2) indica la quantità di ossigeno che il nostro organismo consuma in una determinata situazione.
Avremo perciò un VO2 a riposo, se lo misuriamo mentre stiamo sdraiati o seduti in modo molto comodo, avendo cura di rilassare tutti i muscoli e avendo una respirazione regolare.
Avremo invece un VO2 massimo (VO2 max), quando misuriamo il consumo di ossigeno durante uno sforzo fisico (aerobico) estremamente intenso.
Il VO2max è perciò la metrica che rappresenta il massimo volume di ossigeno consumato per minuto (in millilitri) per chilogrammo di peso e definisce il livello cardiorespiratorio e aerobico personale.
È quindi un valore che definisce la capacità dell’organismo di portare l’ossigeno raccolto dai polmoni nelle varie parti del corpo, e più in particolare nei muscoli, attraverso il sistema circolatorio, per poterlo usare come parte del processo di produzione di energia.
Come funziona il calcolo del VO2max?
La misurazione diretta del VO2max andrebbe realizzata in centri specializzati, perché richiede il monitoraggio del consumo di ossigeno mediante un test metabolico eseguito durante un esercizio sotto sforzo massimale su un tapis roulant utilizzando uno strumento apposito chiamato metabolimetro, collegato alle vie respiratorie dell’atleta tramite una mascherina, in grado di misurare gli scambi gassosi durante la fase di inspirazione e di espirazione, rapportandoli alla frequenza cardiaca quale indice l’intensità dell’esercizio fisico.
Alcuni device sono però in grado di fornire una stima del VO2max durante le attività di camminata, corsa o un’uscita in bici.
I prodotti Garmin, ad esempio, mediante l’utilizzo dell’algoritmo definito dal protocollo Firstbeat, di proprietà Garmin, inserito in un contesto più ampio di misurazioni fisiologiche, se correttamente tarati, hanno una buona approssimazione rispetto alle misurazioni di laboratorio, anche se non possono garantire la stessa precisione.
Il calcolo dell’algoritmo in autolearning si basa infatti solo su una combinazione di informazioni storiche personali e dati raccolti durante le attività sportive, in particolare passo, cadenza e frequenza cardiaca.
Ovvio che più si usa il dispositivo, più affidabile diventa la stima del VO2max.
Il sistema è inoltre progettato specificamente per riconoscere automaticamente i migliori dati per effettuare il calcolo: gli arresti e le partenze sono esclusi insieme a qualsiasi altra interferenza che si verifica lungo il percorso.
L’analisi Firstbeat inoltre filtra automaticamente i segnali in entrata per garantire che vengano utilizzati solo dati rappresentativi nel rilevamento dei livelli di VO2max dell’utente.
Questo migliora sia l’accuratezza che l’affidabilità, anche se si tratta pur sempre di una stima, ma sostanzialmente importante, almeno per un atleta amatore.
L’aspetto più interessante del sistema è quello di mettere chiunque nelle condizioni di conoscere in modo costante e regolare i propri livelli, se pure approssimativi, di VO2max, constatando così i miglioramenti o le eventuali regressioni del parametro.
Per molti questo può essere una preziosa fonte di motivazione e validazione del lavoro svolto. Anche osservare diminuzioni nel livello di forma fornisce, infatti, un tipo di motivazione un po’ diverso ma altrettanto potente.
Indipendentemente da ciò, quando la forma fisica personale viene espressa in termini concreti, diventa più gestibile e può essere tarata verso il mantenimento o il miglioramento.
Tra l’altro, la probabilità di migliorare il proprio valore di VO2max aumenta soprattutto proprio quando il livello di condizione fisica risulta essere medio/basso.
Negli atleti di alto livello, infatti, la cui condizione risulta essere già eccellente, il valore non subisce solitamente variazioni significative e difficilmente può essere percepita e rilevata da un sistema di stima automatica.
Fattori limitanti l’uso del VO2 max
Per usare al meglio i valori di VO2 max è importante sapere che lo stesso risultato misurato in un individuo non può essere sempre confrontato con quello di un altro soggetto, in quanto esistono delle variabili individuali che possono influenzare in modo anche significativo la metrica.
In primo luogo la genetica, che fa si che nessun atleta sia uguale ad un altro e, così come altri elementi che contraddistinguono ciascun individuo, anche alcuni aspetti di fisiologia sono assolutamente soggettivi e dettati dalla genetica.
In buona sostanza, si può essere resilienti fin che si vuole, ma se non c’è una specifica predisposizione e attitudine atletica per una determinata attività sportiva, soprattutto di endurance, i risultati di rilievo non arriveranno mai.
Perciò, come gli occhi azzurri o scuri, come i capelli rossi o biondi, anche i livelli di VO2 max raggiungibili sono stabiliti a livello genetico, così come molti altri fattori di performance, in quanto a loro volta dipendenti da altri elementi che sono parte integrante delle caratteristiche genetiche di ciascuno, come ad esempio la capacità di ventilazione, la capacità di trasferimento dell’ossigeno nel sangue, le potenzialità del muscolo cardiaco di pompare il sangue in tutto il corpo, la capacità del sangue di raggiungere adeguatamente i muscoli e la capacità dei muscoli di estrarre l’ossigeno dai globuli rossi.
Molti tra questi fattori sono allenabili e migliorabili, ma solo fino a un certo punto, non oltre e non in chiunque.
Non solo, ma anche altri elementi (sui quali purtroppo è impossibile agire…) influiscono in modo significativo sui livelli di VO2 max raggiungibili, tra i quali l’età (il VO2MAX diminuisce con l’età) e il sesso (gli uomini hanno livelli superiori rispetto alle donne).
Insomma, com’è evidente, non è così facile definire il proprio VO2 max ottimale, così com’è evidente che un algoritmo, per quanto preciso ed efficiente, non potrà mai determinare in modo preciso la vostra performance, ma solo fornire un’indicazione sul vostro stato di forma, non per questo meno interessante sotto il profilo fisiologico e utile per l’attività fisica di tutti i giorni e la preparazione atletica degli amatori.
Il VO2 max “normalizzato”
Si è detto che il VO2 max rappresenta la capacità di portare l’ossigeno raccolto dai polmoni nelle varie parti del corpo, e più in particolare nei muscoli.
Il suo valore reale, perciò, andrebbe rapportato e “normalizzato” al tipo di atleta, al suo peso e alla sua massa muscolare.
Per capire cosa dobbiamo intendere per rapporto con il tipo di atleta e la massa muscolare utilizzata, immaginiamo un maratoneta che esegua un test incrementale su una bicicletta e che abbia un determinato VO2; successivamente lo stesso atleta eseguirà un ulteriore test usando un ergometro per le braccia. Il suo consumo di ossigeno sarà, con una certezza assoluta, inferiore nel test eseguito con gli arti superiori; eppure l’atleta è lo stesso, e il suo livello di allenamento non è cambiato nel giro di poche ore.
I motivi di questa metrica diversa sono dovuti principalmente a due fattori: in primis alla minore massa muscolare delle braccia rispetto alle gambe in un ciclista: meno fibre muscolari, meno tessuto metabolicamente attivo, meno possibilità di estrarre ossigeno dal flusso sanguigno.
In secondo luogo, il risultato si relaziona alla tipologia di fibre muscolari: le braccia, a meno di casi particolari, presentano una percentuale inferiore di fibre aerobiche rispetto alle gambe, quindi meno mitocondri e minor capacità di estrazione dell’ossigeno a livello locale.
L’altro aspetto da considerare nella valutazione del VO2 max è la necessità di “normalizzare” il valore alla massa corporea dell’atleta.
Se consideriamo, ad esempio, un ciclista maschio velocista di 80 kg, avrà probabilmente un valore assoluto di VO2 maggiore di una ciclista donna scalatrice di 50 kg.
Se, però, si “normalizza” il VO2 max alla rispettiva massa corporea, l’atleta donna avrà un VO2 max/kg maggiore del velocista, con in più il vantaggio di possedere anche una composizione delle fibre muscolari particolarmente specializzata nel protrarre e sostenere a lungo un esercizio a livelli massimali.
L’ultimo aspetto da considerare nella valutazione del VO2 max riguarda il rapporto tra tipo di atleta, valore di VO2 max rilevato e potenziale atletico.
Per fare questo, prendiamo il classico esempio dei due serbatoi di dimensioni diverse da riempire con acqua.
Se nel serbatoio più grosso un rubinetto eroga 1 litro d’acqua al minuto e in quello più piccolo 2 litri al minuto, la quantità di liquido a parità di tempo sarà maggiore in quello più piccolo, che però non potrà riempirsi oltre un certo limite.
Lo stesso dicasi per due atleti con diverso livello di allenamento: quello meno performante dei due, a parità di sforzo (il tempo trascorso nel nostro esempio) avrà un VO2 maggiore.
Tuttavia, ad un certo punto, non potrà più aumentare l’intensità dello sforzo, perché sarà arrivato al massimo della sua capacità (la quantità di acqua che il serbatoio può contenere).
Viceversa, il serbatoio più grande (l’atleta più allenato) potrà continuare a riempirsi, raggiungendo un livello maggiore in termini assoluti.
Morale della favola: a parità di sforzo, e fino a un certo punto, chi è più allenato presenta un VO2 più basso rispetto a chi è meno allenato, ma se lo sforzo persiste, l’atleta più allenato potrà raggiungere un VO2 max più elevato.
L’allenamento del VO2 max
La percentuale di VO2max che può utilizzare un atleta è altamente allenabile,ed è uno degli obiettivi principali della preparazione alle gare di resistenza.
Questo valore, che si misura in ml/kg/min, notevolmente condizionato dalla genetica, come si è detto, ha comunque la possibilità di essere migliorato di almeno il 15-20% con l’allenamento e con la perdita di peso, ovviamente in riferimento alla massa grassa.
È evidente che un atleta che si allena per le lunghe distanze ha la capacità di sostenere uno sforzo continuato a una percentuale del VO2max nettamente superiore rispetto a un soggetto non allenato, anche se questo valore può crescere percentualmente di più in un soggetto sedentario se sottoposto a stimoli allenanti piuttosto che in un soggetto già condizionato.
La velocità alla quale si raggiunge il massimo consumo di ossigeno si riesce a mantenere per un tempo limitato, compreso tra i 6 e i 10 minuti, ma più il soggetto è allenato e più può sopportare le quantità di lattato prodotto durante l’esecuzione dell’esercizio.
Per rendere meglio l’idea dell’intensità, la quantità di lattato prodotta al VO2 max va da 5 a 9 millimoli, ovvero a valori nettamente superiori a quelli che si raggiungono quando si fanno allenamenti alla VR (velocità di riferimento), nei quali si raggiungono convenzionalmente le 4 mmol di lattato.
L’unico strumento che permette di rilevare correttamente il valore in questione è il già citato metabolimetro, strumento in grado di misurare gli scambi gassosi durante la fase di inspirazione e di espirazione, rapportandoli alla frequenza cardiaca, quale indice l’intensità dell’esercizio fisico.
Nessun altro device o algoritmo, come ad esempio quello di Garmin già precedentemente citato, è in grado di valutare con la medesima precisione questa metrica e le sue evoluzioni nel tempo.
Metodi per allenare il VO2 max
Per allenare il VO2 max i metodi più efficaci sono quelli basati sulla logica dell’Interval Training (IT).
L’interval training (o allenamento intervallato), conosciuto anche come Aerobic Interval Training (AIT), è un genere di allenamento discontinuo che solitamente viene caratterizzato da una successione di esercizi in cui si alternano intervalli a bassa e alta intensità.
I periodi di alta intensità sono in genere in corrispondenza della soglia anaerobica, mentre i tempi di recupero possono essere rappresentati da completo riposo o da un’attività di minore intensità.
L’interval training, esercizio fondamentale riferibile a qualunque tipo di sport aerobico (ciclismo, corsa, sci di fondo…) può essere descritto perciò come un breve periodo di lavoro seguito da riposo, attivo o passivo, con l’obiettivo di migliorare la velocità e la forma fisica cardiovascolare.
L’interval training è una tecnica di allenamento nella quale si alternano esercizi ad alta e a bassa intensità e in cui la frequenza cardiaca aumenta nella prima fase, quando lo sforzo è massimo, per poi rallentare nella seconda, tramite recuperi attivi (diminuendo l’intensità) o passivi (sospendendo ogni attività per riprendere fiato).
Si tratta, di norma, di allenamenti intensi e di breve durata, sia nelle fasi più intense (che altrimenti non sarebbero sostenibili) sia nei recuperi, durante i quali, comunque, la frequenza cardiaca non dovrebbe ridursi troppo.
L’interval training nella corsa, ad esempio, viene svolto sotto forma di ripetute, fartlek, tempo run, sprint in salita, ed è in grado di allenare muscoli e sistema cardiovascolare ad attività intense in un breve lasso di tempo aiutando a migliorare la resistenza, cioè la capacità aerobica, e la velocità, aumentando al tempo stesso anche la soglia anaerobica e il VO2 max.
Non solo, perchè l’allenamento ad alta intensità accelera il metabolismo, sia durante l’attività sia nelle ore successive, ed è quindi utile per chi desidera bruciare i grassi e perdere qualche chilo di troppo.
Gli esercizi di interval training, in qualunque forma si intendano, non sono però adatti a tutti. Innanzitutto, è bene avvicinarsi a questo tipo di allenamento solo quando si ha una buona base aerobica e di resistenza, quando cioè si corre già agevolmente almeno per più di 10 km consecutivamente, cioè non prima di avere consolidato adeguate capacità di coprire una buona distanza a ritmo lento.
Non si tratta perciò di allenamenti da gestire in modo improvvisato o casuale, ma devono rientrare all’interno di un programma atletico completo e ben strutturato.
Ciò premesso, si tratta comunque di esercizi che consentono di ottenere enormi benefici sia a livello muscolare (perché le variazioni di ritmo aumentano il metabolismo anaerobico), sia a livello cardiaco, perché il cuore si allenerà, poco alla volta, a gestire una maggiore frequenza cardiaca.
Inoltre, aiuterà a migliorare il consumo di ossigeno, allenando quel 15-20% di VO2 max che va oltre la genetica, e la gestione dell’accumulo di acido lattico.
Insomma, allenando adeguatamente il VO2 max con l’interval training sarà possibile andare più veloci, con meno fatica e su distanze più lunghe, rendendo l’allenamento progressivamente più efficace e produttivo. E, perché no, consumando più calorie…