Una recente ricerca sembrerebbe sfatare questa ipotesi...
La corsa è nota per innescare disturbi gastrointestinali. Basta chiedere a Paula Radcliffe, il cui pitstop in diretta alla Maratona di Londra del 2005 è forse l’esempio più famoso di un fenomeno ampiamente evidente durante lo svolgimento di qualunque gara di lunga distanza.
Finora lo spiacevole inconveniente è stato attribuito prevalentemente a cause meccaniche, riferibili ai continui sobbalzi a cui sono sottoposti i visceri durante la corsa.
È vero però che anche il ciclismo è spesso affetto da questo problema, basti pensare al campione professionista Tom Dumoulin che si dovette fermare per più di due minuti a causa di una “sosta non programmata” durante la tappa 16 del Giro d’Italia 2017…
Un nuovo studio, apparso recentemente sul Journal of Science and Medicine in Sport ha provato a confrontare l’impatto della corsa e del ciclismo sul sistema gastrointestinale cercando di utilizzare condizioni identiche. Ebbene, dal lavoro sembrerebbe emergere che le differenze in termini di sintomi non sono poi così grandi come ci si aspetterebbe, mettendo altresì in luce quali potrebbero essere i veri trigger dei disturbi.
Lo studio è stato condotto da Ricardo Costa della Monash University in Australia, che è stato uno dei leader degli studi che definirono ciò che lui e i suoi colleghi chiamarono “sindrome gastrointestinale indotta dall’esercizio”.
Tale sindrome è caratterizzata principalmente da problemi a carico del rivestimento epiteliale intestinale, che dovrebbe consentire il normale passaggio dei principi attivi contenuti nel cibo assunto bloccando invece il passaggio di agenti tossici. Quando il rivestimento non funziona correttamente si verifica un’inversione di questa tendenza, con un ridotto passaggio di principi nutrizionali, ad esempio i carboidrati, che poi vanno ad innescare disturbi come nausea, produzione di gas e bisogno di evacuare, mentre riescono a passare tossine ad azione infiammatoria che scatenano altri importanti sintomi.
MECCANISMI ALLA BASE DEL FENOMENO
Ci sono diversi motivi per cui l’epitelio intestinale tende ad alterarsi durante l’esercizio prolungato.
Il più ovvio è che il flusso ematico e la disponibilità di ossigeno vengono deviati per rifornire i muscoli e per deviare il calore in eccesso alla pelle per poi disperderlo con il sudore. Così facendo, le cellule intestinali vengono private dell’adeguato nutrimento e ciò determina un fenomeno di parziale ischemia e ipossia che danneggia le cellule e il loro funzionamento corretto.
L’esercizio innesca inoltre uno spostamento della risposta nervosa in modalità “lotta o fuga”, che mette in pausa temporanea le funzioni digestive a favore della funzione muscolare. Questo aspetto potrebbe spiegare uno dei motivi per cui molti atleti non presentano problemi durante l’allenamento, ma hanno disturbi il giorno della gara, in quanto lo stress aggiuntivo della competizione aumenta la risposta di lotta o fuga peggiorando lo stato della mucosa intestinale.
Anche il calore sembra essere un fattore scatenante dei danni epiteliali intestinali: il raggiungimento di una temperatura interna al di sopra dei normali 37 gradi centigradi sembra infatti associarsi a una maggiore lesività intestinale.
IL LAVORO SPERIMENTALE
Costa e i suoi colleghi hanno reclutato 28 volontari per confrontare gli effetti di due ore di corsa o ciclismo sul sistema gastrointestinale.
Sono stati equalizzati quanti più dettagli possibili tra i due gruppi: la stessa colazione, la stessa temperatura ambiente elevata per rendere più probabili i problemi gastrointestinali, lo stesso protocollo di idratazione e la stessa intensità di esercizio: 55 percento del VO2 max (per la corsa) o di massima potenza aerobica (per il ciclismo).
Sono stati inoltre eseguiti una serie di esami ematochimici per valutare gli eventuali esiti correlati a una possibile alterazione epiteliale e ad eventuale infiammazione.
Ebbene, alla fine della sperimentazione non sono emerse differenze sostanziali tra il gruppo di runner e di ciclisti, con risultati simili in termini di comparsa di sintomi gastrointestinali.
In entrambi i gruppi, un quarto dei partecipanti ha riportato sintomi del tratto gastrointestinale superiore, come l’aerofagia e l’eruttazione. Più runner che ciclisti hanno invece riportato nausea (6% contro 0%) e sintomi gastrointestinali del tratto inferiore come la flatulenza (19% contro 8%), ma le differenze erano insignificanti in termini di gravità.
Nella realtà di tutti i giorni, peraltro, al là di ciò che è emerso della sperimentazione, nella corsa potrebbero manifestarsi più sintomi per una “maggiore tensione fisiologica e termica” di tutto il corpo rispetto al ciclismo. Inoltre, bisogna considerare che il lavoro di Costa è a mio parere afflitto da diversi importanti bias, a cominciare dal non aver considerato l’impatto sui disturbi gastrointestinali del sovraccarico di carboidrati o la correlazione dei sintomi con il carico glucidico e l’idratazione. Si tratta comunque di un primo interessante approccio per cercare di capire alcuni tra i possibili meccanismi che stanno alla base di uno dei più spiacevoli inconvenienti che si verificano soprattutto durante le gare più lunghe di corsa e triathlon.
Una possibile spiegazione dei risultati simili tra i due sport emersi nello studio è probabilmente riferibile all’intensità ridotta alla quale è stato eseguita la sperimentazione: due ore di esercizio al 55% dell’intensità massimale non sono infatti così difficili da sostenere, anche se a temperatura ambientale elevata. Forse anche per questo i marcatori ematici per la disfunzione intestinale e l’infiammazione erano molto più bassi rispetto a studi precedenti e i sintomi gastrointestinali riportati erano relativamente lievi. Tuttavia, i risultati sono comunque interessanti e rivelano che probabilmente il fattore meccanico c’entra quasi certamente poco con l’insorgenza del fenomeno. Rimane invariata invece l’esigenza di allenare l’intestino a cibi e bevande che verranno usati in gara e garantire un apporto equilibrato di nutrizione e idratazione.
Un’ultima osservazione che mi sento di proporre è che, se è vero che un’intensità <60% sembra ridurre l’insorgenza di sintomi gastrointestinali, forse il runner, il ciclista o il triatleta della domenica dovrebbe cominciare a chiedersi se non sia meglio ridurre un po’ il passo per assicurarsi di correre una gara senza il bisogno di correre ai servizi igienici.