I crampi muscolari associati all’esercizio (EAMC) consistono in contrazioni muscolari involontarie e intensamente dolorose che prima o poi quasi tutti gli atleti sperimentano in allenamento o in gara. La terminologia EAMC serve a distinguere questo tipo di crampi da quelli associati a patologie che non hanno nulla a che vedere con l’attività fisica.
Gli EAMC generalmente si verificano nella sede più direttamente coinvolta nel compito dell’esercizio (più comunemente i muscoli del polpaccio o i quadricipiti femorali, ma possono verificarsi in qualsiasi altro muscolo). Possono essere di lieve entità, ma anche gravi in termini di dolore e inabilità, fluttuanti o completi, localizzati o estesi a uno o più muscoli.
Ci sono molte teorie sulle cause dell’insorgenza dei crampi muscolari, ma nessuna ha ricevuto ancora una sicura attestazione scientifica sperimentale. Alcune tra le più comuni includono:
Scarso allenamento
Sovraffaticamento fisico
Durata prolungata dello sforzo
Condizioni climatiche calde e umide
Sudorazione abbondante
Disidratazione
Dieta inappropriata
La maggior parte degli scienziati oggi concorda sul fatto che le cause dell’insorgenza degli EAMC siano in realtà multifattoriali, ovvero che a causare il problema sia più spesso la somma di più di un fenomeno, con un’elevata propensione a ipotizzare che sia in gioco uno squilibrio della conduzione neuromuscolare scatenato da diversi fattoritra quelli sopra citati, assolutamente individuali e perciò diversi tra un atleta e un altro.
Per questo motivo, non esiste un protocollo univoco che aiuti a risolvere definitivamente il problema in tutti gli atleti, ma piuttosto esperienze diverse adattate alle differenti cause scatenanti e alle esperienze vissute dall’atleta.
La teoria “classica” e quella multifattoriale
Il dottor Ronald Maughan, professore di scienze mediche e biologiche presso l’Università di St. Andrews nel Regno Unito, autore di un interessante articolo su Sports Medicine sostiene che la causa della maggior parte dei casi di EAMC sia il risultato di un’intensa sudorazione, accompagnata da una grande assunzione di acqua senza un’adeguata assunzione di sali, una situazione che non è affatto analoga alla “disidratazione”, ma piuttosto a qualcosa di leggermente diverso, ovvero a uno squilibrio tra acqua ed elettroliti.
Ma non è sempre così in tutti gli atleti, perchè in alcuni casi, nonostante il giusto apporto di liquidi ed elettroliti i crampi compaiono comunque.
Per questo motivo Maughan ritiene, come molti altri colleghi ricercatori, che l’eziologia del fenomeno sia molto più “variegata” di quanto ritenuto finora, e che le cause alla base dell’insorgenza degli EAMC possa effettivamente essere multifattoriale e per questo assolutamente individuale.
Cosa stiamo sbagliando su elettroliti e crampi
Gli elettroliti sono minerali presenti nel sangue con molteplici funzioni. Fondamentali nella contrattilità muscolare, sono insostituibili in molte altre funzioni fisiologiche e metaboliche. Includono sodio, magnesio, potassio, calcio, cloruro, fosfato e bicarbonato.
Gli elettroliti sono elementi goldilocks: troppo poco di ognuno può essere dannoso, quanto troppo.
In buona sostanza, per ottenere il massimo effetto elettrolitico è necessario che essi siano mantenuti nel giusto equilibrio. Secondo Maughan, ma non solo, chi suda molto e integra con sola acqua senza un adeguato apporto di sali,altera di fatto l’equilibrio elettrolitico ottimale, inducendo i disturbi correlati alla carenza di sali, tra i quali gli EAMC.
Da più di un secolo ormai è noto che se si suda molto è giusto integrare con acqua e sali e non con sola acqua. Ma potrebbe esserci molto di più per quanto riguarda l’insorgenza di crampi di quanto siamo stati indotti a credere in tutti questi anni, afferma il dott. Kevin Miller, professore alla Texas State University che ha studiato a fondo gli EAMC, ed è autore di un’interessantissima review sul Journal of Athletic Training.
Miller sostiene infatti che sussistono “alcuni grossi difetti” nella teoria secondo la quale gli EAMC derivano solo da uno squilibrio di fluidi e/o elettroliti, e che il problema è molto più complesso.
La critica nasce dal fatto che uno dei modi migliori per ridurre o eliminare un crampo consiste nell’allungare il muscolo incriminato. Stando così le cose, c’è un evidente contraddizione tra la presunta causa e la soluzione del problema, in quanto risolvendo un crampo con lo stretching non si aggiungono fluidi ed elettroliti…
Secondo Miller, in realtà la comprensione scientifica dei crampi si è evoluta molto a partire dal 1997, quando ha cominciato ad essere ipotizzata una correlazione tra EAMC e alterazioni a livello neurologico in risposta all’affaticamento. Con queste premesse, Miller ha sviluppato una teoria multifattoriale dei crampi, in collaborazione con il Dr. Martin Schwellnus, scienziato sudafricano considerato uno dei principali leader nel campo della ricerca sui crampi.
Insieme hanno pubblicato la già citata review sul Journal of Athletic Training in cui propongono l’ipotesi che l’eziologia degli EAMC sia riferibile a una gigantesca ragnatela di fattori interni ed esterni che insieme o separatamente possano generare il fenomeno, in modo assolutamente individuale.
Nella figura, tratta dalla review, è ben evidente la complessa ragnatela di possibili fattori che possono causare i crampi durante l’esercizio.
Miller paragona questa eziologia rivisitata alle ricette per il sugo degli spaghetti: “come ci possono essere 500 diverse ricette per fare il sugo”, dice, “così possono esistere 500 diverse ricette per i crampi, e la tua ricetta potrebbe essere diversa dalla mia”. “Gli ingredienti che compongono la tua ricetta possono includere, ad esempio, avere spinto troppo o troppo a lungo, essere disidratato, non avere dormito bene la notte prima, esserti alimentato in modo sbagliato, o altri elementi ancora. Più ingredienti aggiungi alla ricetta, e più è probabile che tu sviluppi i crampi”.
In tutta questa ragnatela di fattori, l’elemento centrale sembra comunque essere uno squilibrio della trasmissione neuromuscolare, che può essere indotto da diversi fattori, da quelli classici dell’alterato equilibrio elettrolitico a quelli dovuti all’affaticamento muscolare.
Tra le evidenze descritte da Miller c’è, inoltre, quella che spesso un crampo genera un altro crampo. L’atleta, cioè, inizia ad avere un crampo in un muscolo che poi si estende ad altri muscoli.
Questo evento comune è probabilmente correlato al modo in cui i nervi diventano più eccitabili quando vengono attivati e indica che i crampi provocano cambiamenti nel sistema nervoso centrale rendendo più incline il soggetto a nuovi crampi una volta che si è generato il primo crampo.
Questa intuizione si aggiunge all’idea che i crampi siano multifattoriali, chiarendo un fenomeno molto comune negli atleti: una volta raggiunta una determinata soglia che scatena il crampo e non si è dato abbastanza tempo al corpo per riprendersi abbassando quella soglia, si rimane inclini a futuri crampi fino a quando non c’è qualcosa in grado di incidere sui fattori che hanno portato al primo crampo, e questo fenomeno può estendersi fino a un’ora dopo ogni crampo.
Questo spiega perché quasi sempre quando un atleta manifesta il primo crampo continua ad averne altri a ripetizione successivamente al primo.
Il lavoro di ricerca che c’è da fare è quello di determinare esattamente qual’è il meccanismo che altera la trasmissione nervosa prima, durante e dopo un crampo e a individuare in che modo ciascun fattore contribuisce allo sviluppo del crampo.
La teoria neuromediata e il pickle juice
Il pickle juice è il liquido in cui si conservano i sottaceti, dal sapore agrodolce simile alla salamoia. Secondo alcuni ricercatori, la sua presunta efficacia nel ridurre i crampi è data dalla presenza di acido acetico, in grado di ridurre la durata e l’intensità del crampo. In effetti, diversi studi ed evidenze “sul campo” hanno dimostrato l’efficacia di questo rimedio empirico.
Stando all’ipotesi della teoria neurologica del crampo, si ritiene che l’acido acetico sia in grado di innescare, attraverso i recettori neurali presenti nella parte posteriore della gola, un riflesso che “distrae” il cervello dal trasmettere l’impulso anomalo di contrazione periferica ai muscoli.
Per questo motivo, sembrerebbe essere sufficiente, come attestato anche in un recente lavoro apparso su Applied Sciences, un semplice gargarismo a base di pickle juice, e non l’ingestione, per influire sul meccanismo neuromediato del crampo, andando a inibire l’attivazione dei motoneuroni alfa del muscolo crampiforme.
Nel recente IRONMAN 70.3 di Jönköping per la prima volta ho visto ad ogni ristoro la presenza di cetriolini sottaceto. Se non avessi saputo perché, mi avrebbe stupito non poco. E invece…