Un recentissimo lavoro pubblicato sull’European Journal of Sport Science offre qualche nuovo spunto, basato sui dati rilevati in alcune migliaia di utilizzatori del sistema Supersapiens, sul timing migliore per alimentarsi prima di un allenamento o una gara evitando il fenomeno dell’ipoglicemia “reattiva”.
Il sistema Supersapiens è nato con l’intento di trovare il modo per gestire al meglio l’apporto di carboidrati, ottimizzando il loro metabolismo nei soggetti sani che praticano sport, soprattutto di resistenza. L’idea principale era quella di utilizzare il Monitoraggio Continuo del Glucosio (CGM), come una specie di “indicatore del carburante in tempo reale”.
In realtà, l’obiettivo si è rivelato molto arduo da raggiungere, in quanto ogni individuo presenta reazioni diverse dopo l’assunzione di carboidrati ed esistono tutta una serie di segnali e meccanismi metabolici, difficili da individuare e le cui risposte fisiologiche sono assai difficili da standardizzare, che sono io gioco di continuo per tentare di ottimizzare il livello glicemico. L’esercizio fisico, dal canto suo, produce un consumo continuo del glucosio introdotto, stimolando il fegato a immetterne maggiormente in circolazione, mentre l’insulina agisce trasferendo gli zuccheri dal sangue per portarli nelle cellule muscolari e adipose.
Insomma, non è affatto facile standardizzare, ottimizzare e rendere fruibile per l’allenamento un sistema così complesso in soggetti fisicamente e metabolicamente diversi.
Le cose si complicano ulteriormente, in quanto il picco di insulina dopo l’ingestione di zuccheri non è immediato e raggiunge il suo apice dopo circa 45-60 minuti a seconda del soggetto.
Nel frattempo, se uno ad esempio esce per una corsa, i muscoli iniziano a bruciare il glucosio fino a 100 volte più velocemente di quanto fanno a riposo e contemporaneamente ci sarà un richiamo di zuccheri anche dalle riserve di glicogeno epatico. Se non si sa esattamente quando ci sarà il picco insulinico, l’ormone potrebbe entrare in azione proprio nel momento in cui i muscoli iniziano a richiedere più glucosio, così che i due effetti potrebbero abbassare troppo i livelli glicemici nel sangue. Questa ipoglicemia reattiva o “di rimbalzo” può manifestarsi con una particolare debolezza e scarsa reattività al movimento.
In realtà, utilizzando i sensori del sistema Supersapiens, ci si è resi conto che non solo è possibile individuare con maggiore precisione nel singolo individuo quando si manifesta il fenomeno dell’ipoglicemia reattiva, ma che è possibile misurare in modo più preciso e coerente gli effetti dell’utilizzo dei carboidrati nella dieta, valutando altresì in modo più puntuale l’impatto dei diversi alimenti e integratori a base di carboidrati sul livello glicemico degli atleti. E scusate se è poco…
Con queste premesse, gli autori del citato lavoro hanno inteso valutare “dal vivo” il fenomeno dell’ipoglicemia reattiva o “di rimbalzo”, il momento in cui il fenomeno si realizza nella media dei soggetti testati, e quanto esso impatti sugli atleti quando si alimentano troppo in prossimità di un allenamento. L’obiettivo era quello di dimostrare che utilizzando il CGM su migliaia di atleti perfettamente sani è possibile ottenere alcune informazioni utili che non sarebbero ottenibili in altro modo se non con il sistema Supersapiens.
Lo studio, pubblicato sull’European Journal of Sport Science da un team guidato da Andrea Zignoli dell’Università di Trento, che lavora anche per l’equipe Supersapiens, ha analizzato quasi 49.000 eventi di 6.700 utenti Supersapiens in cui era stato consumato un pasto a base di carboidrati prima dell’esecuzione di un esercizio fisico.
Le variabili chiave erano quanto tempo prima dell’esercizio avevano mangiato i soggetti analizzati e se i loro livelli di glucosio erano scesi al di sotto di 70 mg/dl durante i primi 30 minuti di esercizio. La soglia glicemica di 70 mg/dl è quella comunemente utilizzata in letteratura per definire l’ipoglicemia di rimbalzo, anche se non c’è di fatto una soglia standard in grado di produrre sintomi negativi in persone diverse. Ognuno di noi infatti risponde in modo differente a livelli glicemici diversi, ma 70 mg/dL è un valore di riferimento ragionevole per indicare che i livelli di zucchero nel sangue sono scesi significativamente più di quanto ci si aspetterebbe.
Il primo quesito che si sono posti gli autori è quanto sia prevalente l’ipoglicemia di rimbalzo, anche se questo è difficile da quantificare, perché quasi tutti gli sportivi hanno, almeno occasionalmente, un basso livello di zucchero nel sangue durante gli allenamenti, anche se nessuno ne soffre gli effetti ogni volta che si allena. Se però questo fenomeno si manifesta in più del 20% degli allenamenti, potrebbe significare che quell’individuo ne soffre in modo significativo. Da questo punto di vista l’analisi ha dimostrato che tra gli atleti esaminati, il 15% manifestava questo fenomeno.
L’aspetto però più importante era rilevare quanto influisse il timing del pasto sul fenomeno.
Nel grafico si vede il rapporto tra il timing (sull’asse orizzontale) e il manifestarsi dell’evento ipoglicemico reattivo (sull’asse verticale).
Photo: European Journal of Sport Science
Come è evidente, il picco insulinico e l’ipoglicemia reattiva si sono manifestati tra gli esaminati in modo più frequente circa 50 minuti prima dell’allenamento, per cui questo sembrerebbe essere il momento in cui è più probabile che si produca il fenomeno, con un range compreso tra circa 30 e 90 minuti. Ovvio dedurre a questo punto che il consiglio migliore per affrontare l’ipoglicemia di rimbalzo è quello di evitare di mangiare tra i 30 e i 90 minuti prima dell’attività fisica, e in particolare di evitare cibi ad alto contenuto di carboidrati e ad alto indice glicemico.
A dirla tutta, però, gli autori hanno definito altresì che circa l’86% dei soggetti testati non è affatto suscettibile all’ipoglicemia di rimbalzo. Solo l’8% è sensibile, ma può ridurre al minimo il rischio modificando i tempi del pasto pre-allenamento. E l’ultimo sei per cento è suscettibile, ma per loro l’orario dei pasti non sembra fare la differenza. Dunque il problema sembrerebbe un “falso problema”…
Come è evidente, c’è ancora qualcosa che ci sfugge, in quanto se a questo punto è buona norma seguire un più corretto timing per nutrirsi prima di un allenamento o di una gara, non sembra essere così facile, come ho premesso, individuare a pieno i sottili meccanismi che stanno alla base del metabolismo degli zuccheri in ognuno di noi e i loro effetti.
Purtroppo, perciò, sembra che anche un sistema così preciso e puntuale come Supersapiens abbia bisogno di un’ulteriore lunga sperimentazione per riuscire a definire meglio cosa effettivamente accade in ognuno di noi quando ci alimentiamo con un pasto o un’integrazione a base di carboidrati prima di un allenamento o di una gara.
Diciamo però che alcune indicazioni pratiche possono essere di aiuto per evitare il fenomeno:
evitare di mangiare un pasto a base di carboidrati tra i 30 e i 90 minuti prima dell’attività fisica;
evitare cibi ad alto contenuto di carboidrati e ad alto indice glicemico;
evitare di mangiare gel o barrette ad elevato contenuto in carboidrati nell’ora che precede un allenamento o una gara;
ovviamente questo timing è sconsigliato nel nuoto, e perciò anche prima della partenza di una gara di triathlon.