Nelle prime gare di primavera, quando il clima è spesso imprevedibile e si alternano giornate già calde ad altre ancora fredde, magari afflitte da pioggia battente (e non solo…), con le prime prove soprattutto in mare e in bici che richiedono di affrontare temperature non sempre gradevoli, diversi atleti possono trovarsi in situazioni di difficile controllo della temperatura corporea, fino ad arrivare a veri e propri sintomi di ipotermia.
Per questo è importante riconoscerne le manifestazioni e controllarne quanto più possibile l’insorgenza mediante un’attenta strategia nella gestione dell’abbigliamento, peraltro non sempre sufficiente per scongiurare l’ipotermia, anche perché non è facile capire esattamente come e quando si verifica ed è altrettanto difficile talora trovare il modo per aggirare o ritardare questo processo.
D’altro canto, molte delle gare con alte percentuali di DNF hanno come prima causa proprio le basse temperature, con diversi atleti costretti a gettare la spugna rifugiandosi nelle tende mediche proprio per l’insorgenza di sintomi da ipotermia.
La fredda strada verso l’ipotermia
Per l’adulto medio, 37 gradi C è considerata una normale temperatura corporea. Dal punto di vista medico, l’ipotermia è definita come una temperatura corporea interna inferiore a 35 gradi C.
Si tratta, com’è evidente, solo di pochi gradi di calo della temperatura corporea interna, ma capaci davvero di fare un’enorme differenza non solo per quanto riguarda l’efficienza atletica, ma anche per quanto concerne il normale funzionamento di diverse importanti funzioni fisiologiche.
L’ipotermia, però, non è un fenomeno istantaneo. Infatti, ben prima che si raggiunga la sua evidenza clinica, si verifica una cascata di eventi e di risposte fisiologiche di “allarme”, mentre la maggior parte dei problemi e dei rischi riferibili alla riduzione della temperatura corporea si verificano in realtà molto prima che si manifesti la vera e propria ipotermia.
In particolare, ci sono alcune precise fasi legate all’insorgere dell’ipotermia, ciascuna delle quali descrive uno spettro di possibili esperienze che analizziamo di seguito…
Risposta allo “shock da freddo”
Un classico esempio della risposta allo shock da freddo è ciò che si verifica quando si entra in acqua a bassa temperatura e capita di fare prima un respiro profondo per poi andare in iperventilazione.
Quando si attiva questo meccanismo di reazione al freddo, molto frequente ad esempio nelle gare di triathlon di primavera, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca aumentano notevolmente e questo può portare non solo disagio e difficoltà a proseguire, ma anche tachicardia e veri e propri fenomeni aritmici fino all’arresto cardiaco.
Per lo stesso motivo, la difficoltà respiratoria può indurre l’insorgenza di panico, soprattutto se ci si trova in una situazione già di per sé non facile da gestire come l’affollata partenza della frazione di nuoto del triathlon.
Non solo, ma l’atto di immergere contemporaneamente sia la testa che il corpo aumenta anche il rischio di un’ulteriore possibile risposta anomala del sistema nervoso autonomo che regola la frequenza cardiaca, respiratoria, e altre funzioni corporee inconsce, denominato “conflitto autonomico”.
Quando il corpo entra nell’acqua fredda, come si è detto, aumentano la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria e la pressione sanguigna.
Nel momento in cui, però, si immerge anche la testa, il sistema nervoso autonomo attiva un meccanismo opposto caratterizzato principalmente da una marcata bradicardia generando così quel fenomeno che viene comunemente chiamato in medicina con il termine di conflitto autonomico. Questo è il meccanismo che più frequentemente può dare il via alle aritmie cardiache da freddo.
Queste risposte fisiche, per lo più inconsce, sono la prima vera causa anche dei decessi che si verificano nel triathlon durante la frazione di nuoto, e in particolare all’inizio della prova, molto prima, com’è evidente, che l’atleta diventi ipotermico…
Per evitare questo problema è molto importante fare SEMPRE il warm-up prima della partenza della frazione di nuoto, soprattutto se è prevista una temperatura dell’acqua sotto i 18 gradi.
Entrare in acqua per 5-10 minuti per acclimatarsi e fare qualche bracciata con calma, senza forzare è assolutamente fondamentale per evitare successivi problemi. Non solo, ma in questi casi è sempre importante indossare una cuffia in neoprene sotto la cuffia da gara per ridurre l’impatto dell’acqua fredda sulla testa e la risposta del sistema nervoso autonomo al freddo.
Riduzione della mobilità da freddo
Mentre le prime fasi dello “shock da freddo” riguardano il raffreddamento della cute e la rapida risposta del sistema nervoso autonomo, la fase successiva dell’immersione in acqua fredda o dell’esposizione all’aria fredda, come ad esempio in bici, produce il raffreddamento neuro-muscolare sottocutaneo.
In questa fase, il corpo cerca di deviare il sangue dalle estremità agli organi vitali – cuore, cervello e polmoni – nel tentativo di difenderli dall’esposizione al freddo mantenendone la funzione vitale.
In questo modo le estremità si raffreddano più rapidamente.
Mano a mano che la temperatura a livello muscolare diminuisce, la fatica aumenta.
Temperature muscolari di circa 27 gradi causano infatti un notevole affaticamento, anche perché questo secondo step si verifica quando è già in atto un calo della capacità motoria e della coordinazione che può portare al ritiro in gara e nei casi più gravi all’annegamento o alla caduta in bici.
Raffreddamento fisico profondo
Ci vuole un po’ di tempo perché il freddo sia in grado di penetrare negli strati di grasso e muscoli che proteggono il “nucleo organico centrale”, e la velocità con cui accade dipende dalle dimensioni e dalla struttura dell’atleta, nonché dalla temperatura dell’acqua o dell’aria. Per questo, ad esempio, l’ipotermia normalmente non si verifica prima di 20 o 30 minuti di nuoto.
Inoltre, non si tratta di un’esperienza uniforme per tutte le persone. Gli atleti alti e magri con meno grasso corporeo sottocutaneo si raffreddano più rapidamente rispetto agli individui più bassi con più grasso. Inoltre, sono in gioco anche altri fattori, come ad esempio la quantità di calore che un atleta sta generando con l’esercizio. Per questo motivo un nuotatore o, nel caso della bici, un atleta più efficiente tende a manifestare più tardi i sintomi dell’ipotermia.
Segni e sintomi di ipotermia
Nonostante ciò, mentre ci vuole un po’ di tempo per diventare francamente ipotermici, il problema del troppo freddo può comunque causare brutti scherzi a chiunque, indipendentemente dal livello di fitness.
L’attenzione va posta in particolare ad alcuni segni e sintomi che non devono essere sottovalutati, come ad esempio l’insorgenza di brividi che durano per più di 15 minuti di seguito, perché significa che qualcosa non va a livello della propria termoregolazione. Il problema è che in determinate condizioni, ad esempio quando si corre, si produce molto calore e questo può mascherare il fatto che si sta in realtà perdendo più calore di quanto se ne generi.
Questo può essere l’inizio insidioso dell’ipotermia, con atleti che sembrano stare benissimo, ma in realtà improvvisamente le loro condizioni peggiorano fino al punto da non potersi più muovere o cadere a terra senza la possibilità di rialzarsi, talora con associata perdita di coscienza.
È importante, perciò, quando ci si trova a praticare sport in condizioni climatiche critiche, saper riconoscere i segni e i sintomi che segnalano un’imminente ipotermia.
Di seguito alcuni esempi:
- Brividi e battito di denti.
- “Fenomeno dell’artiglio”: comparsa di crampi alle mani che diventano rigide per il freddo, ad “artiglio”.
- Riduzione della efficienza delle bracciate nel nuoto o improvviso calo della cadenza o della potenza erogata nella bicicletta o nella corsa.
- Vertigini, nausea o mal di testa.
- Stordimento, sonnolenza o disorientamento.
- Incapacità di rispondere a domande semplici o perdita di logica e ragione.
- Difficoltà e biascicamento della parola.
L’ipotermia in gara
Poiché l’acqua allontana il calore dal corpo 25 volte più velocemente dell’aria, il nuoto è la frazione di una gara in cui è più probabile che l’ipotermia diventi un problema serio. Ma non è impossibile avere difficoltà rilevanti anche durante la bici o la corsa, a seconda delle condizioni.
Il tempo infatti può cambiare improvvisamente e drasticamente, com’è accaduto ad esempio in diverse edizioni dell’IRONMAN di St. George, dove venti bizzarri e cali di temperatura hanno più volte creato condizioni pericolose per molti atleti.
Nella realtà italiana, molti ricordano gli effetti subiti da molti atleti durante il Challenge di Riccione nel maggio del 2019…
Per i triatleti, oltre alle prime fasi della frazione di nuoto, un altro momento rischioso è rappresentato dal passaggio dal nuoto alla bici, perché mentre la temperatura interna potrebbe non avere ancora raggiunto il livello di ipotermia clinica, i muscoli potrebbero però essere abbastanza freddi da rendere difficile pedalare in sicurezza.
Sebbene poi pedalare forte possa aiutare a creare calore nei muscoli che alla fine si riscalderanno, il vento freddo potrebbe rappresentare un’ulteriore sfida, rendendo la transizione tra le due discipline piuttosto impegnativa sotto il profilo fisico, perché potrebbero volerci un bel po’ di chilometri prima di ritornare a una normale temperatura interna, anche se adeguatamente protetti.
Un buon rimedio in queste condizioni ambientali è rappresentato dall’asciugarsi il più possibile in T1 per ridurre la dispersione di calore residuo con l’evaporazione una volta saliti in sella.
In questi casi, vale davvero la pena dedicare qualche minuto in più per asciugarsi bene piuttosto che dover pagare pegno nella frazione in bici.
Una volta eliminati tutti questi rischi di ipotermia, dal nuoto alla corsa, il pericolo però non è ancora scongiurato, anche nel post gara allenamento…
Afterdrop
Il fenomeno dell’afterdrop insorge quando termina l’attività in ambiente freddo, e contestualmente si è smesso di generare calore, come ad esempio a fine gara, al termine della frazione di corsa.
In questa fase si assiste a un calo della temperatura interna, mentre al tempo stesso il corpo tenta di ristabilire l’equilibrio tra gli arti diventati freddi e il “nucleo” caldo. Così facendo, invia più sangue in periferia, mentre il sangue freddo viaggia dalle estremità verso il centro.
Questo può creare uno scompenso che altera la pressione sanguigna e il ritmo cardiaco.
Ecco perché dopo una gara o un allenamento al freddo è importante riscaldarsi in modo graduale gradualmente e non repentinamente: meglio avvolgersi per un po’ in una coperta in mylar, di solito consegnata agli atleti a fine gara, che consente al corpo di adattarsi gradualmente, piuttosto che correre a farsi una doccia bollente!