Quasi tutti i runner si saranno prima o poi sentiti dire che correre fa male alle ginocchia. Ma sarà vero, o viceversa la letteratura scientifica dice esattamente il contrario…?
Delle tre discipline del triathlon, è noto che la corsa presenta il più elevato numero di infortuni da sovraccarico. Il problema è semplice, in quanto fra i tre sport (nuoto, bici, corsa) si tratta di quello a maggiore impatto articolare, e dunque non può che essere quello maggiormente afflitto da possibili lesioni da uso eccessivo a livello di diversi distretti e strutture anatomiche di gambe, caviglie, piedi…
Nella migliore delle ipotesi, si tratta di piccoli infortuni risolvibili rapidamente, anche se talora frustranti, soprattutto se ripetuti. Nella peggiore ipotesi, servono a volte molte settimane per riprendere l’attività.
Ma tutto questo coinvolge davvero così spesso le ginocchia come si è soliti sentir dire…?
E soprattutto, è vero che in età adulta la corsa può provocare un’eccessiva usura delle cartilagini favorendo così l’insorgere di osteoartrite (OA), un processo cronico che inizia proprio quando la cartilagine di un’articolazione inizia a deteriorarsi…?
Il processo osteoartritico, com’è noto, si manifesta quando la cartilagine si logora, e con essa la funzione ammortizzante e lubrificante che rende possibile la normale articolazione tra due superfici ossee. Questa alterazione, insieme alla conseguente risposta infiammatoria reattiva provocano una progressiva ridotta mobilità e un dolore che aumenta con l’entità del danno.
Esistono diversi fattori di rischio per lo sviluppo di OA, ma i più importanti sono in assoluto il sovrappeso, la sedentarietà ed eventuali precedenti lesioni a carico della cartilagine.
Comprensibile che su queste basi anche la corsa, con il suo continuo carico articolare, sia stata aneddoticamente riportata come un possibile fattore di rischio per l’OA.
In realtà sembra che, contrariamente a questa convinzione, la ricerca dimostri che l’esercizio fisico, inclusa la corsa, sia invece il mezzo migliore per prevenire e gestire i sintomi di OA, anche una volta iniziati.
Tutto ciò premesso, c’è allora da chiedersi a chi credere, e per farlo è meglio dare un’occhiata a ciò che sostiene la ricerca scientifica.
COSA DICE LA RICERCA
Diciamo subito che, come si può ben immaginare, l’utilizzo prolungato e ripetuto di una determinata articolazione e della sua cartilagine comporta ovviamente un impatto progressivamente negativo su di essa, come dimostrato da diversi studi.
Si tratta del così detto cumulative load, o “carico cumulativo”, che vale sia per la camminata che per la corsa, un adattamento naturale in risposta all’utilizzo che è proprio di qualunque altra struttura anatomica del nostro corpo, quando soggetta a sforzo continuo e prolungato.
Diversi ricercatori hanno valutato la biomeccanica dell’articolazione e hanno dimostrato che anche in condizioni normali durante la camminata si sviluppano importanti forze di impatto sulla superficie interna dell’articolazione. Queste forze vengono assorbite principalmente dalla cartilagine tibiale e sono significativamente più elevate durante la corsa, quando la forza di impatto del terreno viene amplificata fino a dieci volte rispetto alla camminata.
Fortunatamente, la cartilagine può adattarsi e rimodellarsi in modo continuo in modo da mantenere la sua salute impedendone il deterioramento.
Numerosi studi hanno dimostrato che questi processi di ripristino continuo, che rappresentano il vero substrato per garantire la salute articolare, sono amplificati in coloro che corrono rispetto a chi cammina solamente, offrendo così una potenziale spiegazione del perché la corsa possa effettivamente essere maggiormente protettiva rispetto alla camminata per prevenire l’OA a lungo termine.
Tuttavia, sussistono alcune prove sperimentali che suggeriscono che, sebbene benefica per alcuni, la corsa possa in realtà essere dannosa in altri atleti.
Un articolo pubblicato nel 2017 ha valutato i risultati di 17 studi che comprendevano quasi 115.000 soggetti. Gli autori di questa metanalisi hanno innanzitutto dimostrato che la prevalenza di OA era significativamente più bassa in coloro che correvano rispetto a coloro che non correvano.
Solo il 3,7% dei runner ricreativi, inoltre, dimostravano di sviluppare un’OA rispetto al 10% del controllo rappresentato da coloro che non correvano. Tra gli atleti professionisti, invece, il tasso di OA rispetto al controllo era pari al 13,3%.
È evidente la differenza tra professionisti e ricreativi, ma gli autori non specificavano quale fosse il motivo concreto di questo gap, se il diverso volume di corsa, o l’intensità, o entrambi i fattori.
Un recentissimo lavoro pubblicato nel 2024 ha invece contribuito a far luce su questa domanda e ha fornito anche qualche indicazione ulteriore per coloro che sono preoccupati di sviluppare un’OA.
COSA DICE IL NUOVO STUDIO
In questo recente studio, infatti, gli autori hanno valutato sia la frequenza che la distanza percorsa, nonché la biomeccanica dell’andatura degli atleti, cercando di quantificare l’impatto di questi aspetti sulla salute della cartilagine nel ginocchio.
Le loro valutazioni hanno fornito la conferma dell’idea che l’atto di correre in sé è sicuramente protettivo e riparativo per l’articolazione.
Peraltro, nel gruppo esaminato, gli atleti che hanno corso da 6 a 21 km/settimana hanno migliorato la salute della cartilagine all’imaging della risonanza magnetica del ginocchio rispetto a quelli che non correvano.
Coloro invece che hanno corso più di 21 km/settimana hanno dimostrato una cartilagine con segni di usura che superava i meccanismi di rimodellamento fisiologico, suggerendo che una volta superata una certa soglia in termini di volume di corsa, venga meno progressivamente l’effetto protettivo della corsa.
Una sorta di “reverse J-curve effect” che la corsa dimostra nei confronti dello sviluppo di OA.
Quando infatti c’è una “curva a J inversa”, la probabilità di ottenere un determinato risultato diminuisce all’aumentare del volume dell’esercizio fino a un punto di flessione, dopo di che ulteriori aumenti del volume dell’esercizio sono associati a benefici in diminuzione e talvolta, come sembra avvenire nel nostro caso, a un rischio più elevato rispetto a non correre affatto.
Ma in questo lavoro c’è anche un dato in più, correlato alla biomeccanica del gesto atletico.
I ricercatori hanno infatti dimostrato che coloro che corrono con un collasso mediale del ginocchio aumentano lo stress sulla cartilagine mediale sviluppando così un danno di grado più elevato nel tempo rispetto a coloro che corrono senza tale collasso. Ciò evidenzia l’importanza della corretta biomeccanica nel mantenere la salute della cartilagine e del ginocchio.
Al tempo stesso, gli autori ricordano come anche eventuali infortuni al ginocchio, e più in particolare quelli a carico del legamento crociato anteriore, costiuiscano un importante fattore di rischio per lo sviluppo di OA, indipendentemente dal chilometraggio percorso.
Diversi altri studi hanno infatti dimostrato che gli atleti che hanno subíto questa lesione, con o senza lesioni correlate ad altri legamenti o alla cartilagine, hanno una probabilità del 50-90% di sviluppare OA nel corso della vita. È interessante notare che, anche quando la lesione viene riparata chirurgicamente, non sembra esserci alcun impatto sulla possibilità di progressione verso un’OA.
In definitiva, premesso che ognuno di noi è “costruito” in modo differente rispetto a un altro soggetto, e che tale aspetto individuale rappresenta comunque un importante fattore distintivo nella predittività di un certo tipo di patologia, possiamo però dire che ci sono sicuramente alcune regole che chiunque può seguire per cercare di contenere o ridurre il rischio di sviluppare un’OA. Mantenere un corretto peso corporeo, ad esempio, è probabilmente il fattore di rischio modificabile più importante per ridurre il carico articolare, così come rimanere attivi mediante il movimento regolare, e la pratica della corsa in particolare.
Per chi corre regolarmente in modo ricreativo o competitivo, inoltre, per prevenire il fenomeno vale la regola del buon senso in termini di volume e intensità, in quanto è ad esempio dimostrato ormai che entro certi limiti di volume settimanale e con una corretta dinamica di corsa c’è una buona probabilità di prevenire l’OA.
Come sempre nella vita in medio stat virtus…